Business Innovation, intervista a Romeo Scaccabarozzi di Axiante

Axiante si pone come esperta nel settore in cui opera, al fine di individuare le specifiche esigenze del cliente, creando una relazione proficua e durevole.

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Romeo Scaccabarozzi, AD di Axiante, ci spiega del ruolo di Business Innovation Integrator e del supporto attivo offerto alle imprese tramite il consultative selling.

– Axiante è un “Business Innovation Integrator”, cosa significa? Come sta evolvendo la vostra proposition nel tempo?

La definizione di “business innovation integrator” sintetizza la nostra attitudine nel lavoro a supporto delle aziende. “Business”, perché ci attiviamo in risposta a una necessità o a un obiettivo di business – più che tecnico o tecnologico – a cui l’organizzazione deve far fronte o che intende raggiungere. Per indirizzare questo obiettivo, cerchiamo di portare qualcosa di nuovo: “innovazione”, appunto per dare impulso e imprimere un’accelerazione al tema di business che sta a cuore all’azienda. Allo stesso tempo, però, non dimentichiamo l’esistente, anzi integriamo la novità con le soluzioni, i sistemi e le tecnologie già presenti all’interno dell’azienda. In questo senso, per Axiante, fare “integrazione” è innanzitutto una manifestazione di concretezza e pragmatismo: significa conservare, migliorandolo, ciò che l’azienda ha già costruito.

Seguendo questa impostazione, aiutiamo le aziende a gestire al meglio il proprio patrimonio di dati e a trarne valore. Oggi siamo più impegnati di prima su questo fronte e dedichiamo un’attenzione sempre crescente nel rilevare e misurare l’impatto dei progetti sulle aziende. In particolate, sotto due punti di vista: l’impatto sulle risorse, perché operiamo soprattutto in settori in cui l’elemento umano è ancora preponderante, e il ROI Return of Investment, cioè l’impatto economico positivo portato dall’investimento. Proprio perché i progetti che seguiamo partono con l’obiettivo di rispondere a una necessità di business e indirizzarla verso la soluzione migliore, è sempre possibile dare una misura in termini di impatto del progetto, definendone step intermedi e risultati finali.

– L’emergenza pandemica sembra attenuarsi, cosa hanno portato (di buono e non) questi tre anni?

Ci sono stati aspetti positivi e negativi. Tra i primi, sicuramente il forte incremento della produttività delle persone, oltre alla decisiva accelerazione dei processi digitali, che in molti casi erano già in corso ma appena iniziati. Con la diffusione del lavoro da remoto, i costi legati agli spostamenti si sono fortemente ridotti e, in un contesto in cui non si è più necessario essere sempre di corsa, si sono abbassati molto anche i livelli di stress rispetto al passato, a tutto vantaggio del benessere mentale e fisico delle persone.
Cosa invece non ha funzionato? In generale, crediamo si sia ridotta l’attitudine che gli inglesi chiamano “thinking outside the box” e che potremmo tradurre come “pensiero divergente”. Sono cambiate le abitudini e con esse anche le dinamiche delle interazioni interpersonali, che sono sì più frequenti, ma spesso anche molto più brevi. Le interazioni avvengono quasi sempre dentro binari programmati, come quelli di una video-call, seguendo temi specifici e tempi cadenzati. Questa rigidità imposta agli scambi tra colleghi o tra team di lavoro porta a non avere più spazi per discutere di argomenti che non siano quelli già fissati in agenda. Vengono a mancare, insomma, i momenti di creatività spontanea, che sono spesso anche i più fecondi.

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– Nonostante il forte impatto della tecnologia nel mondo imprenditoriale, molto spesso le aziende sono restie al cambiamento. Quali considerazioni potete fare in merito? Cosa riscontrate presso i clienti?

Le organizzazioni sono fatte di persone. Non sono, quindi, tanto le aziende ad essere restie al cambiamento, quanto più le persone che le abitano e questo è nella natura umana. Mentre l’azienda è, per sua natura, un organismo soggetto a cambiamenti e costretto a evolvere per restare sul mercato, tra le persone è accettabile che ci siano delle resistenze alle novità. Ma la vera domanda è: si tratta di resistenza al cambiamento o ai cambiamenti?
Il problema forse è che spesso le organizzazioni vogliono apportare troppi cambiamenti, troppo in fretta e tutti insieme. E la maggior parte delle persone i cambiamenti li accetta o li cerca: li accetta, se vengono dall’alto, li cerca, se si rende conto che qualcosa non funziona e occorre trovare una nuova strada. Pur nella normale e umana resistenza, dunque, se i cambiamenti portano dei vantaggi e se questi sono compresi, vengono accettati e attuati volentieri. Soprattutto quando i mutamenti sono numerosi e avvengono tutti in parallelo, bisogna quindi distinguere tra quelli cercati e quelli imposti e, nel secondo caso, è fondamentale esporli e spiegarli bene ed essere disposti ad ascoltare il punto di vista di chi dovrà attuarli.
Lo riscontriamo in modo evidente anche nelle aziende con cui lavoriamo. Se il cambiamento viene preparato, nella maggior parte dei casi funziona. Preparare l’azienda al cambiamento vuol dire esporre il progetto, apportare mutamenti graduali, discutere dei vantaggi a breve e a lungo termine. Se tutto ciò non viene fatto, se il cambiamento viene imposto, se riguarda troppi ambiti e se non si tiene conto delle esigenze delle persone, è difficile che produca buoni risultati.

– La sicurezza è un aspetto fondamentale per l’operatività delle aziende, quali possibili percorsi vedete per far crescere il vostro business in questo segmento?

La sicurezza è fondamentale per le moderne organizzazioni, eppure talvolta può trasformarsi in un elemento che blocca o che rallenta l’operatività dell’azienda. Ecco perché con la nuova business unit “Data Driven”, che abbiamo inaugurato di recente, affrontiamo il tema della sicurezza in termini di governance. Vogliamo, cioè, aiutare le organizzazioni a considerare la sicurezza non come un pericolo o un appesantimento dell’attività, ma come leva di governo e controllo. È importante che le aziende comprendano che le decisioni di business oggi passano dai dati e, per prendere decisioni accurate e ponderate, è necessario fondarle su dati sicuri. Per noi di Axiante il tema della sicurezza è quindi legato a quello del controllo su asset aziendali, come elemento di governo necessario per aiutare le aziende a prendere decisioni a partire dai dati. Governare l’azienda significa infatti anche avere dati sicuri da cui partire per orientare il business.

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– Come aumentare le vendite attraverso una proposta consulenziale?

In Axiante preferiamo parlare di consultative selling. In quest’ottica l’impresa non si pone come semplice offerente sul mercato, ma come esperta nel settore in cui opera, al fine di individuare le specifiche esigenze del cliente e crea con lui una relazione proficua e durevole. L’obiettivo, quindi, non è aumentare i volumi di vendita, ma fare vendite a valore, cioè più profittevoli e più durature. Si tratta prima di tutto di scoprire i veri problemi del cliente, che non sempre sono espliciti, e di lavorare sulla maniera migliore per risolverli, legando il proprio guadagno ai benefici prodotti e non alla semplice fornitura delle soluzioni all’azienda cliente. È la differenza che corre tra un fornitore e un consulente: il primo offre solo la soluzione, il secondo cerca di capire quali problemi sta affrontando l’azienda, cosa le serve e poi trova la soluzione più adatta sia rispetto all’esigenza manifestata sia rispetto al risultato atteso. Così facendo, il rapporto tra consulente e azienda è più stretto, più duraturo e acquisisce anche economicamente un maggior valore.