Pure Storage, dall’hardware ai data management services

Per saperne di più sulla nuova direzione strategica di Pure Storage abbiamo incontrato il nuovo Chief Digital Transformation Officer Paolo Juvara.

pure storage

Pure Storage sta cambiando il modo di rapportarsi con i clienti e sta virando l’offerta, dal solo hardware, ai servizi. Per saperne un po’ di più sulla nuova direzione strategica, abbiamo incontrato Paolo Juvara, che ha l’innovativa qualifica di Chief Digital Transformation Officer (CDTO). È stata l’occasione anche di scoprire che cosa fa un CDTO.

– Cosa sta succedendo nella strategia di Pure Storage?

Pure Storage si sta convertendo da fornitore di prodotti hardware a fornitore di data management services. Questo sta comportando un importante cambiamento nell’esperienza dei clienti, perché si sta creando un rapporto basato sulla continuità. Non si tratta più di spedire un prodotto, che poi il cliente si installa e si gestisce. Ora gestiamo noi tutte le apparecchiature che forniamo, questo ci permette di avere una relazione più duratura sia con i clienti sia con i partner che rivendono i nostri prodotti. Il rapporto inizia dal marketing, poi si focalizza sulla fase contrattuale e, quindi, sull’aspetto di provisioning dei servizi e del consumo. C’è poi la gestione del ramp up. In pratica, è un’esperienza molto più simile a quella che un cliente ha con un fornitore SaaS, piuttosto che con un venditore hardware.

– Da qui arriva in nome “Pure as a Service”?

Il mercato dello storage è in una fase di forte crescita, ma anche di discontinuità, dovuta all’introduzione di “modelli di acquisto Opex”, che alcuni definiscono storage as Service. In realtà, è un mix non sempre chiaro di prodotti e offerta commerciale. Per noi, invece, Pure as a Service è veramente un servizio pensato per eliminare il lavoro “manuale” e sgravare l’utente dall’amministrazione dello storage. In questo senso, forniamo dei services level agreement e consentiamo ai clienti di definire quale storage desiderano in termini di capacità, di performance e di protezione. Ci assumiamo poi noi la responsabilità di garantire che quanto richiesto venga realizzato. Si tratta di un rapporto completamente diverso rispetto a quello proposto da altri, che forniscono un prodotto che poi il cliente si deve gestire.

Alla base della nostra offerta ci sono investimenti per la ricerca e lo sviluppo dei prodotti che si prestano a questo nuovo servizio. Però la tecnologia non basta, è necessaria anche una trasformazione interna profonda, focalizzata sia sulla gestione dell’esperienza del cliente, sia sull’ottimizzazione di tutti i processi interni, dalla produzione dei nostri dispositivi alla fornitura ai clienti. Tutto deve essere cambiato, revisionato e ottimizzato.

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– Come si colloca in questo contesto il Chief Digital Transformation Officer?

Stiamo vivendo una trasformazione radicale del modello di business. Il ruolo canonico del CIO forse non si adattava a questa trasformazione. Questo perché il CIO gestisce l’implementazione e l’esecuzione di strategie che gli vengono comunicate dai capi funzionali dei vari dipartimenti, senza però necessariamente contribuire a una visione strategica.

Mentre, essendo stato CEO, il mio background di business application mi porta ad avere una visione e una comprensione di “come Pure Storage funziona come business”. Ciò che sto facendo ora come Chief Digital Transformation Officer è sviluppare una visione strategica di quali debbano essere i processi e quali il parco applicativo e tecnologico adatti a supportare tali processi. Si tratta di un approccio diverso rispetto quello dell’IT tradizionale.

Il mio focus in questi primi mesi in Pure Storage è stato di capire quali siano le strategie e come un gruppo di tecnologia possa influenzare e contribuire, non solo all’ottimizzazione dei processi esistenti, ma anche a generare nuove fonti di revenue, nuovi modelli di business. L’obiettivo è quello di permettere ai clienti di avere un’esperienza molto simile a quella che hanno nel public cloud, ma in un ambiente on premise o di cloud ibrido.

– C’è la richiesta di un’offerta “nuova” come la vostra?

C’è molta richiesta: attualmente, il fatturato che arriva da questa proposta è oltre di un terzo delle nostre revenue globali e cresce molto più rapidamente degli altri fatturati. La maggioranza dei nostri clienti è più focalizzata sui modelli tradizionali, però vediamo che c’è una grande domanda per questo tipo di servizio.

I nostri prodotti e servizi sono molto diversi da quelli che le aziende possono avere da venditori tradizionali di storage. Questo, perché abbiamo un approccio e una relazione continua con i nostri clienti. Fin dall’inizio, il nostro modello Evergreen ha creato un rapporto di continuità con i clienti. Tanto, che alcuni utilizzano gli stessi device da più di 10 anni e, di quelli acquistati negli ultimi 6 anni, il 97% è ancora utilizzato. È un rapporto molto simile a quello che ha un fornitore SaaS con i suoi clienti. L’introduzione di Pure as Service sposta questo rapporto a un livello superiore, perché non è solo basato sulla continuità in termini di supporto ma anche di strategia: noi gestiamo effettivamente le applicazioni, lo storage dei nostri clienti.

In crescita l'offerta in abbonamento Pure as-a-Service

L’acquisizione di Portworx ci permette di fornire nel mondo Kubernetes servizi simili a quelli che offriamo per lo storage on premises. Lo scorso anno abbiamo lanciato Pure Fusion, che permette di fornire servizi simili a quelli di Portworx per il mondo delle virtual machine. Consente agli storage administrator di esporre i loro asset tramite API molto simili a quelle che gli sviluppatori utilizzano nei servizi di public cloud. Tutto questo ci consente di erogare una soluzione completa, per una esperienza di storage on premise molto simile a quella che hanno nel cloud.

– Questo vuol dire che le aziende stanno approcciano il cloud con molta cautela?

Dipende. Ci sono aziende che vogliono avere una strategia 100% cloud, per cui ci “utilizzano” come una fase di transizione. Ci sono aziende che hanno deciso, per vari motivi, di continuare a operare on premise e di non adottare il public cloud per nessun motivo. Ci sono, infine, aziende che hanno una strategia mista e, direi, che sono la maggioranza. Noi non pensiamo al cloud come a una destinazione, ma come un elemento del panorama delle infrastrutture. Il nostro obiettivo è di fornire l’esperienza più efficace in questo panorama complesso, indipendentemente dalle scelte che i clienti fanno.

In pratica, vorremmo che il cliente avesse un’esperienza di agilità, flessibilità, scalabilità e modernità nel mondo on premise e che potessimo fornire le medesime garanzie di protezione e di facilità di gestione anche nel mondo cloud, tramite la collezione dei nostri servizi.

A noi si rivolgono aziende che hanno una visione moderna del mondo delle infrastrutture e che usano un po’ tutta la gamma di soluzioni tra Flash Array e Flash Blade. In termini di industry, ci sono tantissime aziende finanziarie e dell’healthcare, ma anche aziende piccole e innovative.

– Tornando alla figura del Chief Digital Transformation Officer, qual è la sua diffusione oggi?

Quella dei CDTO è ancora una piccola comunità, ma in crescita, per il motivo che l’IT tradizionale deve essere un po’ riformato. L’avvento del cloud, e in generale di infrastrutture e applicazioni moderne, ha semplificato molto l’utilizzo delle tecnologie. L’adozione del cloud e di tecnologie come quella di Pure Storage facilita la gestione dell’infrastruttura ed elimina la necessità di focalizzare a tal fine tante risorse. L’avvento di soluzioni SaaS a livello applicativo ha anche democratizzato l’accesso alle applicazioni e si potrebbe dire che ha “indebolito” il dipartimento IT. Ciò perché, ora, il Chief Marketing Officer è indipendente, come lo è il CFO: tutti possono scegliere le loro applicazioni. Questo spinge l’IT a cercare una contribuzione strategica diversa.

Dal mio punto di vista, la democratizzazione dell’IT ha favorito il fiorire di soluzioni molto frammentate. Se il marketing fa certe scelte, la vendita ne fa altre, la produzione altre ancora: ognuno di questi dipartimenti è ottimizzato localmente, ma i processi aziendali dall’inizio alla fine non funzionano. Il ruolo fondamentale del Chief Digital Trasformation Officer è di avere una visione completa di come funziona l’azienda, per sviluppare una strategia che delinei quali siano i processi e la tecnologia che meglio supportano l’azienda stessa. Questo comporta la necessità di competenze molto diverse rispetto a quelle tradizionali. Le competenze tecniche continuano a essere necessarie, ma in più bisogna avere una comprensione molto profonda del modello di business dell’azienda e del dominio applicativo. Inoltre, si deve avere la capacità di relazionarsi con gli utenti e si deve possedere una visione molto più user centric delle soluzioni. In sintesi, il ruolo del Chief Digital Trasformation Officer è fondamentalmente di essere il legame tra la strategia di business e la tecnologia che la supporta.

– In questa evoluzione di Pure Storage da fornitore di hardware a fornitore di servizi, che ruolo ha il partner?

Il partner rimane sempre fondamentale per la distribuzione e l’accesso al mercato. Questo nuovo modello però cambia i requisiti dei partner. Non si tratta semplicemente di rivenditori, ma di elementi di supporto attivo nel consumo e nell’utilizzazione dei prodotti. A fronte di ciò, anche la relazione tra il cliente, il partner e Pure Storge sta cambiando. Inevitabilmente sorgono nuove complessità, ma per i partner si crea anche la possibilità di aggiungere molto valore.

Sarà comunque sempre il partner a fornire i prodotti e i servizi proposti da Pure Storage, noi continueremo a essere focalizzati al 100% sul canale. Attualmente il nostro canale è costituito da distributori, reseller, MSP e i system integrator. Gli MSP stanno crescendo più degli altri e, oggi, praticamente quasi tutti i reseller svolgono un po’ la funzione di MSP.