Personal Data ha compiuto 40 anni e, per il futuro, punta sui giovani

Il nostro è un lavoro complicato e stressante: fare il sistemista vuol dire passare da un cliente all’altro, magari dovendo correre per un’urgenza, e non si conoscono orari.

personal data

Personal Data ha appena compiuto i primi 40 anni, ma sta già pianificando i prossimi 40 anni. E per questo sta puntando sui giovani, proponendosi in prima persona per la formazione. Abbiamo incontrato l’amministratore delegato Giuliano Tonolli per fare un po’ il punto della situazione, per farci raccontare cosa è successo in questi 40 anni nel mondo IT e come li ha vissuti Personal Data. Gettando anche uno sguardo verso il futuro. Ecco cosa ci ha detto.

– 40 anni di storia nel settore IT: come li ha vissuti Personal Data e chi è Personal Data oggi? A quale target si rivolge e quali sono i suoi clienti?

Abbiamo iniziato nel 1981 creando software gestionale per hardware Apple, che poi nel tempo abbiamo abbandonato. Negli anni 2000, abbiamo ampliato la proposta con software di produzione, CRM e data warehouse. Abbiamo sempre lavorato con la piccola azienda. Poi tra il 1998-2000 è nata Personal Data, con obiettivo la system integration. Siamo partiti in maniera pionieristica con Citrix. Nel ’98, abbiamo fatto il primo progetto italiano in ambito virtualizzazione applicativa e desktop con i Thin Client.

Da lì è partita la nostra proposition, che si è evoluta sino ad arrivare alle reti e al networking. Abbiamo abbracciato la visione di VMware e tutte le nuove frontiere tecnologiche che il mercato proponeva. Nel 2012 l’azienda era composta da circa 15 persone. Abbiamo differenziato molto la proposta clienti e abbiamo cominciato a posizionarci anche sulla media e grande azienda e a offrire servizi professionali. Siamo quindi stati ingaggiati anche dai vendor che avevamo scelto. Abbiamo investito in formazione per aumentare il livello degli skill per poter fornire servizi sempre più professionali in ambito consulenza, deployment, architetturale e di post-installazione.

– Cosa vuol dire essere parte del Gruppo Project?

L’incontro con Alberto Ghisleni, il fondatore di Project Informatica, è avvenuto nel 2012. Lui stava cercando di ampliare l’azienda introducendo un’altra realtà nella strategia di gruppo. I nostri skill e la nostra professionalità hanno fatto sì che ci fosse proposto di entrare in società. Dal 2012 al 2020 l’azienda è cresciuta in maniera molto importante. Siamo passati da un fatturato di 2 milioni e mezzo di euro, con circa 15 persone, a 12 milioni e mezzo con 35 persone a fine 2021.

Negli ultimi 5-6 anni ci siamo confrontati sul mercato con Alberto Ghisleni e, all’interno del Gruppo Project, Personal Data è diventata una sorta di vertical sulle tecnologie che trattiamo. Con gli investimenti effettuati da Alberto Ghisleni, anche in ambito networking, security, cybersecurity (sono stati introdotti un NOC e un cyber SOC) abbiamo potuto rinnovare la nostra proposizione verso i clienti. Logicamente abbiamo fatto evolvere le nostre competenze, migliorandole e aumentando sia il team della parte tecnica sia quello della parte sistemistica, creando gruppi dedicati alle varie tecnologie.

Abbiamo anche introdotto nuove tecnologie. Questo ci ha permesso di proporre soluzioni e architetture vestite in maniera sartoriale sui vari clienti in base alle dimensioni. Oltre a quelli tradizionali della piccola e media azienda, abbiamo anche dei clienti nella pubblica amministrazione. Inoltre, forniamo anche solo servizi professionali su ingaggio dei vendor e anche dei nostri “competitor” perché abbiamo skill molto verticali e siamo riconosciuti da questo punto di vista. Inoltre, abbiamo un’offerta che si sposa molto bene con quella delle altre società del Gruppo Project. Pensiamo di crescere ancora come personale.

– Che figure state cercando?

Cerchiamo di aumentare ulteriormente gli skill, ma incontriamo grandi difficoltà a reperire figure tecniche, soprattutto sistemistiche. Stiamo puntando sui giovani, ma facciamo fatica a trovarli. Il nostro è un lavoro complicato e stressante, perché fare il sistemista vuol dire passare da un cliente all’altro, magari dovendo correre per un’urgenza, e non si conoscono orari.

Ci vuole molta passione. Stiamo anche pensando di avviare anche una nostra piccola University, allestendo un’aula dove magari dare la possibilità con dei nostri vendor di fare della formazione ai ragazzi che si sono appena diplomati, che si vogliono mettere in gioco. Oltre alla formazione vorremmo poi consentirgli di essere inseriti in azienda. Se non agiamo in questo modo è difficile far crescere l’azienda con figure adeguate perché oggi non ci sono. Dobbiamo inventarci anche un modello di education da farsi in casa.

Personal Data: danni incalcolabili se l'industria non investe in sicurezza
Giuliano Tonolli

– Virtualizzazione, business continuity e trasformazione dei processi. Come stanno evolvendo le aziende italiane?

Diciamo che alcuni trend li abbiamo cavalcati, come per esempio quello della business continuity. Abbiamo infatti realizzato infrastrutture specifiche in quanto i nostri clienti avevano l’esigenza di non interrompere mai l’attività. Questo perché lavorando con una presenza worldwide oppure 24/7, avere un fermo IT in ambito industriale oggi vuol dire bloccare tutta la produzione e un’azienda non se lo può permettere.

Un trend che è nato in seguito alla pandemia è la necessità di poter far lavorare tutti ovunque, con qualunque device e in modo sicuro. Con Citrix noi proponevamo lo smart working già 1998, così i nostri clienti non hanno avuto problemi. Anzi, hanno addirittura ampliato in maniera massiva la soluzione e la tecnologia e quindi in poco tempo sono riusciti a far lavorare da qualsiasi posto in modalità sicura i dipendenti. Abbiamo fatto un progetto a marzo 2020 per un contact center a Milano, che si chiama Covisian, permettendo in 15 giorni a 4.000 utenti di lavorare da remoto.

Un altro tema che sta assumendo sempre più importanza in Personal Data è la sicurezza. Non dimentichiamo infatti che l’Italia è al terzo posto nel mondo come numero di attacchi. Dalla nostra esperienza, possiamo dire che questo dipende anche dal fatto che nella media impresa sono stati fatti pochi investimenti in sicurezza. Spesso la sicurezza It è vista come un costo senza alcun ritorno in termini di fatturato e in quanto tale è un po’ trascurata.

Così succede ancora di frequente che ci sia un ricorso alla sicurezza dopo che si è stati attaccati e si è stati messi in ginocchio. Abbiamo assistito ad aziende che hanno dovuto interrompere l’attività anche per una ventina di giorni per eseguire le operazioni di remediation. Purtroppo, la sicurezza è un tema che ancora si affronta come reazione a un attacco, non secondo un piano strategico. Questo nonostante facciamo opera di sensibilizzazione, seminari, workshop ed eventi. Oggi è il passa parola tra imprenditori, che si scambiano informazioni sulle reciproche esperienze, che sta lentamente avviando un ricorso spontaneo alla sicurezza.

– E il ricorso al cloud come sta andando?

L’adozione del cloud nell’ultimo periodo è evoluta molto più velocemente che in passato. Dallo scorso settembre, e la situazione continuerà sicuramente almeno fino all’estate, stiamo tutti vivendo un problema di carenza di prodotti. I vendor ci dicono che il materiale non c’è e la consegna è prevista minimo fra sei mesi.

Però ci sono situazioni in cui le aziende devono muoversi con urgenza perché il business va avanti, perciò il discorso del cloud assume più interesse. In passato magari era stato valutato una scelta molto più costosa rispetto ad avere macchine on premise e, quindi, le aziende erano ricorse a soluzioni ibride. Ora, oltre alla crescita degli hyperscaler, si sta avendo anche quella dei service provider a livello “locale” perché le richieste cominciano a essere molte. Noi stiamo facendo sempre più progetti che prevedono l’adozione del cloud.