Smart working in Italia: +0,6% nel 2025. Crescono PA e grandi aziende

Calano invece sensibilmente nelle PMI e nelle microimprese, rispettivamente del 7,7% e del 4,8%.

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Secondo una ricerca dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano dopo il calo del 2024, quest’anno lo smart working torna a crescere dello 0,6% nel nostro Paese. L’indagine sui lavoratori è stata realizzata in collaborazione con Doxa. Nel 2025 sono circa 3.575.000 i lavoratori che per almeno parte del loro tempo operano da remoto. Il maggiore aumento, +11%, si registra nel settore pubblico, dove 555.000 persone lavorano in smart, pari al 17% dei dipendenti della PA. C’è un rialzo anche nelle grandi imprese (+1,8%), dove oggi il 53% del personale lavora da remoto (1.945.000 persone). In controtendenza invece le piccole e medie aziende. Qui i lavoratori da remoto si riducono sensibilmente per rappresentare solo l’8% del totale.

Qual è la situazione nelle aziende private e pubbliche

L’opportunità dello smart working continua ad essere utilizzata dai lavoratori con assiduità. Nelle grandi imprese, solo il 15% dei lavoratori lavora da remoto meno giorni di quelli previsti dall’accordo con l’organizzazione. Soprattutto per la necessità di recarsi in sede per urgenze o emergenze. Nelle PA lo fa il 28%, soprattutto per scelte personali. Nelle PMI la situazione è eterogenea. Infatti circa metà lavora da remoto per i giorni definiti dall’accordo, il 22% utilizza di meno questa possibilità. Tuttavia un 15% la usa di più, visto le maggiori deroghe possibili con l’approccio informale.

Un format lavorativo sempre più apprezzato

In questo scenario, lo smart working in Italia rappresenta ormai un fenomeno stabile, che si è lasciato definitivamente alle spalle le disposizioni di emergenza del periodo Covid. A scapito dei modelli più estremi, a diffondersi è un modello di lavoro ibrido dove lavoro in presenza e da remoto si alternano in funzione dei bisogni personali e organizzativi, secondo policy o linee guida definite dall’organizzazione. Sia i lavoratori che le organizzazioni che adottano lo smart working ne apprezzano sempre più gli effetti e, indipendentemente dalle normative, difficilmente tornerebbero indietro.

Lo smart working non ha ancora raggiunto il picco massimo

Tra coloro che non lavorano da remoto, il 21% dichiara che potrebbe svolgere almeno metà delle attività da un luogo diverso rispetto alla sede aziendale con la stessa efficacia e la stessa dotazione tecnologica. Ciò permette di ipotizzare un potenziale di circa 3 milioni nuovi smart worker, che ci avvicinerebbero al picco di 6,5 milioni toccato durante la pandemia. Mentre si diffonde ulteriormente, in futuro lo smart working potrebbe allargare la platea di lavoratori beneficiari della flessibilità. Per coloro che non lavorano da remoto, la forma più desiderata di flessibilità è quella oraria e, come declinazione di questa, la settimana corta. Questa oggi è presente solo nel 10% di organizzazioni di grandi dimensioni e in molti casi è ancora in fase di sperimentazione.

Quanto pesano le scelte dei lavoratori

L’applicazione delle policy sullo smart working può avvenire in diversi modi. Il 36% dei lavoratori che hanno possibilità di lavorare da remoto dichiarano di scegliere in completa autonomia i giorni di presenza in funzione dei loro bisogni (approccio individualista). II 32% dichiara di farlo sulla base di indicazioni fornite dall’organizzazione (approccio centralizzato). Per il restante 32% la scelta avviene a livello di team bilanciando le esigenze individuali con quelle organizzative (approccio collaborativo). Proprio quest’ultimo approccio ‘collaborativo’ risulta essere quello correlato ai migliori risultati in termini di engagement, prestazioni organizzative e benessere dei lavoratori.

Il diritto alla disconnessione

La difficoltà a ‘disconnettersi”’ si conferma essere una particolare criticità per chi fa smart working. Tra i white collar, il 35% di chi lavora da remoto soffre di overworking rispetto al 30% di coloro che lavorano sempre in sede. Il 49% delle grandi organizzazioni private che hanno progetti di smart working sta adottando misure. Nella maggior parte dei casi (43%) con fasce orarie per cui i dipendenti non sono contattabili. Meno diffuse le iniziative più drastiche. Ad esempio la sospensione delle attività dei server all’interno di una fascia oraria (2%) o il divieto di inviare comunicazioni in particolari orari o giorni (8%). Nel settore pubblico, il 78% che ha iniziative di lavoro agile adotta misure per tutelare il diritto alla disconnessione.

AI e smart working: più efficienza e autonomia

La ricerca mette anche in luce come l’intelligenza artificiale stia già avendo un impatto rilevante sui modi di lavorare. Cambiando infatti il mix di attività e creando nuove possibilità di autonomia e di lavoro per obiettivi. L’uso di strumenti di AI, in particolare, permette di liberare tempo impiegato in compiti routinari e vincolati dal punto di vista dei luoghi e degli orari.

Alcuni esempi

Quei lavoratori, ad esempio, come consulenti telefonici o addetti al customer care, che passano la maggior parte del tempo in attività di interazione sincrona con i clienti, possono con l’AI efficientare le attività di comunicazione diretta con i clienti. Liberando in questo modo tempo da dedicare ad attività di collaborazione e creazione di nuovi contenuti, meno vincolate dal punto di vista degli spazi e degli orari. L’AI, dunque, non solo permette di migliorare l’efficienza, ma consente di ridisegnare le mansioni rendendole più autonome e a valor aggiunto. E quindi potenzialmente più coerenti con un modello di smart working.