Data center 4.0, il centro elaborazione dati migra in cloud

Dall'on premise verso un data center altamente integrato e ibrido. Ecco come evolve il centro elaborazione dati all’epoca del cloud e dello smart working.

centro elaborazione dati

Nel 2019, Gartner aveva previsto che entro il 2025 l’80% delle aziende avrebbe dismesso i proprio centro elaborazione dati tradizionale. Molte organizzazioni stavano, infatti, ripensando alla collocazione delle applicazioni, a fronte della latenza di rete, ai cluster di clienti, alle limitazioni geopolitiche e alle restrizioni normative come, per esempio, il GDPR.
Le aziende che possedevano vecchi data center non volevano rinnovarli o costruirne di nuovi a causa degli elevati costi. Preferivano che fosse un’azienda terza a gestire l’infrastruttura fisica. I dati raccolti della stessa Gartner mostravano che la percentuale del budget IT speso per i data center era costantemente diminuita negli anni precedenti, fino ad arrivare a rappresentare solo il 17% del totale.
La colocazione veniva spesso utilizzata come sostituto del tradizionale data center, in quanto offre maggiore disponibilità, affidabilità, livelli certificati di edifici, efficienza energetica, gestione dedicata delle strutture e capacità di scalare.
Ciò che rimaneva on-premises erano i processi aziendali mission-critical che richiedevano una maggiore supervisione e livelli di controllo più dettagliati di quelli disponibili attraverso l’infrastruttura cloud e i modelli ospitati.

Ma poi è arrivato il Covid-19 e tutto è cambiato. E lo è a tal punto che IDC si sbilancia a dire che nel 2021 c’è stata un’impressionante ripresa del settore e prevede un crescita annuale fino al 2026 di circa il 9%. Un risultato che è essenzialmente dovuto al cloud e alla modernizzazione delle reti che, per usare le stesse parole di IDC, “offrono ampie opportunità per un’espansione sostenuta del mercato negli anni a venire”.

Centro elaborazione dati – Da concentrato a distribuito

Il concetto del data center tradizionale, il centro elaborazione dati (CED) come era chiamato qualche tempo fa, è oggi un po’ anacronistico. Le tecnologie sono evolute e le esigenze sono cambiate: da un approccio che vedeva un’IT “concentrata” e monolitica si è passati a un’IT distribuita. Basti pensare alla diffusione del lavoro ibrido che ha portato alla necessità di disporre di dati e applicazioni aziendali ovunque ci si trovi.

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Il data center aziendale deve essere di supporto al business. E per consentire di riuscire a competere in mercati con dinamiche che cambiano in modo repentino a fronte di una situazione economica instabile a causa di molteplici fattori, il data center moderno deve essere flessibile e in grado di assicurare sicurezza e scalabilità. Queste, però, sono le peculiarità che tipicamente caratterizzano una soluzione cloud. In pratica, quella che si sta verificando è una graduale transizione dell’infrastruttura IT aziendale verso il cloud. Tuttavia, dopo una fase iniziale in cui c’era la propensione a migrare l’intera infrastruttura, c’è ora la tendenza a essere più cauti e a verificare quali applicazioni, dati e processi ha realmente senso portare in cloud e quali invece è meglio continuare a mantenere on premise. Si sta, quindi, creando una situazione in cui il data center prevede sempre di più un approccio ibrido e un alto livello di integrazione.

Perché scegliere il cloud

Gestire un data center totalmente on premise presenta il vantaggio di avere sempre sotto controllo dati e processi. Tuttavia, a questo importante elemento fanno da contraltare diversi aspetti che assumono una connotazione decisamente negativa. Anzitutto i costi. A partire da quelli di acquisto che devono prevedere anche l’overprovisioning per essere sicuri di avere scorte di potenza computazionale e storage a cui ricorrere se e quando necessario. Inoltre, non va trascurato il fatto che l’acquisto di hardware va ascritto a bilancio come spesa in conto capitale. Vanno poi considerati di costi di gestione e di manutenzione, che devono comprendere anche quelli relativi al personale da dedicare a queste attività.

Un altro aspetto da considerare sono i tempi dei processi di acquisto nel caso si debbano comprare nuove macchine per rinnovare il parco esistente o per ampliarlo. Tali processi richiedono procedure lunghe e laboriose che possono richiedere anche mesi. Negli ultimi periodi la carenza nelle scorte dei prodotti ha portato ad avere durate anche superiori all’anno.

Infine, ma non per questo meno importante, gli spazi occupati. Un data center ha la necessità di ambienti adeguatamente strutturati in termini di cablaggi, alimentazione e raffreddamento. E in un periodo in cui il lavoro ibrido sta sempre più spesso portando a ripensare gli spazi aziendali, riducendo le occupazioni, si tende a non essere propensi a riservare un’ampia superficie a un data center, che per altro comporta anche importanti spese in termini di consumi energetici.

Tutti questi aspetti negativi possono essere evitati puntando sul cloud o meglio su un data center as a service (DCaaS).

Una soluzione di Infrastructure as a Service dedicata

Con il termine data center as a service service si intende l’utilizzo di strutture e infrastrutture fisiche di data center presso un provider. In altre parole, con il DCaaS un’azienda acquista un servizio IaaS (Infrastructure as a Service) a cui accedere utilizzando i server, le reti, lo storage e altre risorse IT del fornitore del servizio.

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Un’organizzazione può decidere di puntare sul DCaaS tipicamente perché intende non disporre più di un data center on premise oppure non può più espandere quello che già possiede. Questo può dipendere da uno o più dei motivi che abbiamo visto, come la mancanza di spazio, la carenza di personale IT esperto, consumi energetici eccessivi, elevati costi di manutenzione o anche altre cause. Un provider di DCaaS è in grado di fornire servizi su misura per soddisfare al meglio le esigenze del cliente.

In pratica, rivolgendosi a un provider DCaaS, un’azienda esternalizza una parte (o anche la totalità) del proprio data center e accede alle risorse IT del provider in remoto attraverso una rete Wide Area Network (WAN).

Il caso più frequente è quello di un’azienda che scegliere di mantenere un numero limitato di applicazioni mission-critical on premise e, piuttosto di dotarsi di personale o sostenere importanti spese in hardware aggiuntivo, affitta le risorse da un provider DCaaS per gestire applicazioni secondarie o da usare per un periodo di tempo limitato. Un contratto per l’uso di un DCaaS può anche comprendere strumenti per la gestione dei dati, per la security, per il recovery e per l’ottimizzazione dei server.

I vantaggi del DCaaS per le aziende

Scegliere di avvalersi di DCaaS consente all’azienda di non dover acquistare nessun tipo di hardware, eliminando così rilevanti spese sia per un’infrastruttura IT sovradimensionata, con il rischio che diventi obsoleta prima di essere stata sfruttata in tutta la sua potenzialità, sia per la sua gestione e il suo mantenimento. Non solo. Sono eliminate anche tutte le attività relative all’aggiornamento e alla cyber security. In questo modo, siccome utilizza un DCaaS, il personale IT può concentrarsi meno sulla gestione del data center ha più tempo da dedicare ad attività core.

Da non sottovalutare poi il fatto che le soluzioni DCaaS solitamente prevedono un pagamento del tipo pay-as-you-go, quindi, solo per quello che si usa realmente e si ha la flessibilità di aumentare o diminuire l’uso del servizio DCaaS a seconda delle necessità.

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Il DCaaS dal punto di vista del provider

Che la nuova frontiera dell’IT sia la fruizione come servizio è ormai un dato di fatto. E le aziende tendono sempre più spesso a sgravarsi dei costi per l’acquisto e per il mantenimento delle architetture hardware, focalizzando maggiormente attenzione e sforzi sulle attività core. Questo offre l’occasione di corredare il DCaaS con una serie di servizi aggiuntivi volti a fare in modo che l’azienda si sgravi il più possibile da ogni onere di carattere gestionale, compresa la cyber security. Può anche esserci l’opportunità di proporre attività consulenziali per fare in modo che l’azienda, dopo aver deciso di puntare sull’Infrastructure as a Service, non si trovi in difficoltà con configurazioni e implementazioni.

In più, visto che è sempre più diffusa fra le aziende la scelta di un cloud ibrido, mix di pubblico e privato, il provider può affiancare alla proposta del DCaaS (che in sostanza è un cloud privato) anche quella di accedere al proprio cloud pubblico. Questo migliora e semplifica la possibilità di un’eventuale interoperabilità perché sia il DCaaS sia il servizio di cloud pubblico sono basati sulle medesime tecnologie e hanno la medesima struttura architetturale. Le aziende possono perciò trasferire facilmente, seguendo una sorta di via preferenziale, un workload dal cloud privato dedicato fino al cloud pubblico. A tutto vantaggio, per esempio, di quei dipendenti che, operarndo da remoto, che possono così accedere agilmente alle applicazioni aziendali ovunque si trovano.