
Dopo l’ondata di dimissioni e la Great Resignation siamo nell’era del Great Detachment. Infatti è arrivata la volta dei lavoratori insoddisfatti ma senza speranza nel cambiamento. Nel 2025 si conferma un diffuso malessere tra i lavoratori italiani. Solamente il 17% è pienamente ingaggiato e appena il 10% “sta bene” nelle tre dimensioni del lavoro: fisica, relazionale e mentale. Una buona quota di dipendenti ha cambiato impiego nell’ultimo anno (11%) o ha intenzione di farlo entro i prossimi 18 mesi (30%).
Great Resignation – La situazione del 2025
Ma l’aumento dell’inflazione, i timori di una recessione e l’instabilità economica rendono oggi più rischioso cambiare lavoro, facendo sentire spesso le persone ‘bloccate’ e mentalmente disconnesse. E così, dopo i fenomeni di Great Resignation e Great Regret (il boom di dimissioni volontarie e relativi pentimenti), si affaccia il Great Detachment. Ossia lavoratori rassegnati all’insoddisfazione, che rinunciano a cercare una condizione migliore e spengono le proprie energie.
Cos’è il Great Resignation e chi sono i quiet quitter
Aumentano i quiet quitter, che restano al loro posto facendo il minimo indispensabile senza essere emotivamente coinvolti. Oggi sono il 14% del totale, ben uno su sette. Tra coloro che vogliono cambiare impiego, passa dal 58% al 52% la quota di chi sta effettivamente facendo colloqui. Crolla la quota di chi dopo aver cambiato lavoro si è pentito (dal 56% al 20%), anche se la maggior parte di chi ha cambiato lavoro continua a essere insoddisfatto. Parallelamente, si afferma una crescente ricerca di protezione e di stabilità economica. Nella scelta di un nuovo lavoro, dopo il benessere tornano in primo piano criteri più “tradizionali”: tutele del contratto, la retribuzione e i benefit. I servizi di wellbeing più richiesti sono l’assistenza sanitaria e i buoni pasto.
La diffusione dell’AI
In questo contesto, si diffonde l’Intelligenza Artificiale, che in ambito HR può aumentare produttività, engagement e benessere. Il 45% delle aziende ha già investito in AI a supporto dei processi e il 60% a supporto della produttività individuale. Però le direzioni HR faticano ancora a guidare questa trasformazione e a comprendere come questi strumenti vengono utilizzati al proprio interno. Nell’ultimo anno, infatti, un terzo dei lavoratori ha utilizzato l’AI nelle sue attività. Utilizzando soprattutto soluzioni personali o gratuite reperite online, non quelle fornite dalla loro azienda. E solo un’azienda su sette analizza l’impatto che i sistemi di AI possono avere sulle attività lavorative.
I risultati della ricerca
In media, chi usa strumenti AI al lavoro lo fa per il 20% delle sue attività, con un risparmio del 26% di tempo, equivalente a circa 30 minuti al giorno. Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno: “Tracciare la rotta del cambiamento: AI, nuove strategie e competenze per il futuro del lavoro”.
Perché arriva il Great Detachment
Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice
Tra i lavoratori italiani si rileva una crescente frustrazione, attribuibile alla percezione di instabilità del mercato del lavoro. Accentuata da conflitti e crisi globali e da retribuzioni spesso inadeguate al costo della vita. Così, a fianco al benessere e all’equilibrio, che continuano a essere le priorità delle persone, si sta affiancando una crescente ricerca di sicurezza e protezione.In questo contesto, la sfida principale per le Direzioni HR nel 2025 è lavorare sul senso e il significato del lavoro, cercando di ovviare al senso di precarietà crescente. In un’epoca di grande trasformazione, tra ricambio generazionale e rivoluzione tecnologica, l’HR deve tracciare la rotta del cambiamento delle organizzazioni, che oggi passa da AI, nuove strategie e nuove competenze.
Le difficoltà delle direzioni HR in un’epoca di Great Detachment
Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice
Le aziende italiane stanno investendo in AI, ma le Direzioni HR faticano ancora a governare questa trasformazione. A cominciare da una scarsa comprensione di come i lavoratori la stiano già utilizzando nelle loro attività. Con il rischio di assistere alla diffusione di nuovi strumenti e comportamenti senza una chiara strategia e senza capacità di guidarne gli impatti. L’intelligenza artificiale, da semplice strumento per migliorare efficienza e qualità del lavoro dei singoli, deve essere concepito come strumento strategico per riprogettare il lavoro. Automatizzando attività, creando efficienza, ripensando ruoli, competenze e modelli per liberare tempo ed energie, con minori carichi di lavoro e mansioni più attrattive e sostenibili.
L’AI in ambito HR
Le aziende italiane stanno investendo in intelligenza artificiale in ambito lavorativo. Manca però un approccio sistemico nell’adozione, dall’analisi dei rischi alle policy, alle attività di formazione, al monitoraggio, fino all’analisi dell’impatto. E così, l’85% di chi utilizza l’AI al lavoro adotta strumenti personali o gratuiti reperibili online. Anche se l’azienda fornisce strumenti di AI in 2 casi su 3: un’adozione non regolamentata con rischi legali, etici e di sicurezza, che impedisce di monitorare l’evoluzione e comprendere pienamente gli impatti. Solo il 14% delle aziende effettua un’analisi per comprendere l’impatto dei sistemi AI sulle attività lavorative.
Cresce l’utilizzo da parte dei lavoratori
Il 32% ha utilizzato soluzioni di AI nell’ultimo anno (+23%), percentuale che sale al 43% per i white collar e al 54% per la GenZ. Ma spesso le persone non colgono ancora appieno le potenzialità della tecnologia, limitandosi a usarla come un semplice motore di ricerca. Infatti l’attività principale oggi è la ricerca di informazioni. La maggior parte dei lavoratori che usa l’AI rileva miglioramenti di performance e produttività (91%), l’86% miglioramenti della qualità del lavoro. Sempre l’86% della capacità di apprendimento, mentre tra i rischi rilevati spicca il timore di indebolire le relazioni interpersonali (81%). Il 32% dei lavoratori è preoccupato dell’impatto sul proprio lavoro nei prossimi 3-5 anni, timori legati principalmente all’aumento della precarietà e all’impatto sulle competenze.
Il settore del Talent Attraction
In misura minoritaria, c’è chi intravede l’intento di limitare le assunzioni, ridurre l’organico o intensificare il controllo sui dipendenti. Il 45% delle organizzazioni dichiara di aver investito in soluzioni di AI nell’ultimo anno a supporto dei processi HR. L’area su cui sono più diffusi questi strumenti è quella della Talent Attraction. Tra le soluzioni più adottate in questo processo spiccano per presenza i software per ottimizzare la comunicazione a potenziali candidati e/ o nella scrittura degli annunci, seguiti da strumenti per analizzare i CV ricevuti e classificarli in base alla posizione aperta.
Talent shortage e Great Detachment
Un’azienda su due prevede una crescita di organico nel 2025, ma ben il 78% delle organizzazioni fatica ad assumere nuovo personale. In circa la metà dei casi, la difficoltà è in crescita nell’ultimo anno. L’aspetto più critico è la difficoltà a trovare candidati con le competenze tecniche adeguate. Circa 1 nuova posizione su 4 riguarda professioni digitali: i profili più ricercati sono quelli specializzati in AI, Big Data Management & Data Analytics e Cybersecurity & Data Protection. Su tutti e tre è aumentata l’acquisizione tramite sviluppo interno a discapito della ricerca sul mercato esterno.
Lo sviluppo di nuove competenze
Il Talent Shortage rende ancora più centrale la capacità dell’organizzazione di sviluppare nuove competenze. Già oggi il 10% dei lavoratori deve essere riqualificato perché le competenze per svolgere il proprio lavoro non sono adeguate o sono a rischio obsolescenza entro 3-5 anni. Il 32% dei lavoratori è preoccupato che le sue competenze diventino obsolete nel breve futuro o di avere difficoltà a ricollocarsi. Ma più di 1 persona su 2 ritiene anche di avere competenze che potrebbero essere utili in altri ruoli, per cui attualmente non è presa in considerazione. Oggi, un’organizzazione su tre, non solo non effettua ancora un’analisi per identificare le competenze necessarie nel breve-medio termine (3-5 anni), ma nemmeno un’assessment delle competenze attuali.
La Skill-based Organization
Nelle Skill-based Organization le scelte di crescita, allocazione delle responsabilità e organizzazione del lavoro sono basate sulle competenze delle persone. Piuttosto che su fattori tradizionali come la posizione gerarchica, l’appartenenza funzionale o l’anzianità. Un approccio che si fonda sulla “de-costruzione del lavoro”. Qui le competenze dei dipendenti vengono abbinate dinamicamente a compiti o progetti specifici anziché a ruoli fissi e su un’analisi strategica delle competenze presenti nell’organizzazione. In queste organizzazioni, oltre a una migliore valorizzazione delle competenze, la percentuale di lavoratori che “sta bene” sale dal 10% al 18% e gli intender e dimissionari passano dal 41% del campione al 36%.
La situazione della GenZ
Per l’82% delle organizzazioni italiane è prioritario attrarre e trattenere le nuove generazioni. Comprendere e integrare i loro bisogni emergenti è una necessità strategica. I temi più rilevanti per la GenZ sono il benessere e la ricerca continua di equilibrio tra vita lavorativa e privata. Il lavoro è una componente della vita che, pur importante, non può essere totalizzante. Inoltre, il salario non è più considerato un obiettivo e nemmeno come un mezzo per raggiungere uno status, ma come una risorsa necessaria. I servizi assistenziali e di welfare forniti dall’azienda, invece, vengono percepiti come essenziali per sopperire alle mancanze di uno Stato percepito meno presente e in grado di garantire sicurezza e protezione.
Le politiche DEI
L’amministrazione USA ha avviato una campagna senza precedenti contro le politiche di diversità, equità e inclusione. La richiesta è chiara: le aziende che forniscono prodotti o servizi al governo statunitense dovrebbero adattarsi al cambio di rotta, anche se hanno sede in Europa. Ad oggi non sembrano esserci ancora effetti in Italia. Solo il 3% delle aziende dichiara di aver ridotto gli investimenti sulle tematiche DEI, a fronte di un 34% che ha in programma per il 2025 di lavorarci in continuità con lo scorso anno. Il 23% che vuole ampliare le iniziative per affrontare il tema nel modo più esaustivo possibile.
Dopo il Great Detachment, arrivano gli HR Innovation Award
L’Osservatorio ha assegnato gli HR Innovation Award 2025 alle organizzazioni che si sono distinte per aver innovato e migliorato i propri processi di gestione e sviluppo delle risorse umane.
“Potenzialità dell’AI in ambito HR”. Generali ha vinto il premio per il suo progetto di introduzione di strumenti abilitati da Intelligenza Artificiale Generativa a supporto del performance management. Questo ha consentito di arricchire le valutazioni qualitative e supportare gli utenti nelle fasi del processo grazie a un chatbot dedicato.
“Digitalizzazione dei processi HR”. Webuild si è aggiudicata il riconoscimento grazie al progetto di centralizzazione delle candidature provenienti da agenzie esterne in un unico touchpoint. Ha così semplificato lo scambio di informazioni e migliorato la visibilità del processo di selezione.
“Competenze al centro di nuovi modelli organizzativi”. SACE ha vinto con il progetto “A Journey toward a truly Agile Organization”. Ha abilitato la trasformazione verso un nuovo modello organizzativo con strumenti AI che hanno permesso di orientare le scelte strategiche sulla base delle competenze in possesso delle persone. Oltre a liberare tempo da dedicare ad attività a maggior valore aggiunto alla formazione, al volontariato e alla cura del benessere.
Dopo Great Resignation e Great Regret, è la volta del Great Detachment
“Soluzioni di welfare a sostegno del benessere”. A2A è il vincitore con il progetto “A2A Life Caring”. Esso offre strumenti a sostegno della genitorialità attraverso contributi economici, sensibilizzazione della popolazione aziendale e congedi extra per i neogenitori.
HR Innovation IMPACT Award andato invece a AGSM AIM per il progetto “On-Volt”, che ha innovato il processo di onboarding. Favorendo la creazione di un’identità aziendale condivisa e la trasmissione dei valori aziendali ai nuovi assunti.