Cloud complesso e costi: ridurre l’impatto delle rebuild

Le aziende che prospereranno saranno quelle che abbracceranno l’automazione come requisito fondamentale e non come un “nice-to-have”.

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Mauro Palmigiani, Corporate Vice President Europe South di Commvault, riflette sulla complessità del cloud e sull’importanza della resilienza digitale.

La promessa su cui le applicazioni cloud-native hanno prosperato e si sono diffuse è quella che avrebbero dovuto semplificare la vita. Invece, molte aziende stanno scoprendo una dolorosa realtà. Ovvero che quando queste moderne app smettono di operare, il costo per ripristinarne il funzionamento è molto più elevato di quanto chiunque potesse immaginare.

La nostra ricerca, condotta in collaborazione con Enterprise Strategy Group (ESG), “Il costo nascosto della complessità del cloud: come le rebuild automatiche consentono di risparmiare tempo, denaro e salute mentale”, rivela dati sorprendenti su ciò che accade realmente quando le applicazioni cloud vanno in crash. E perché l’approccio tradizionale al ripristino stia fallendo nell’era cloud-native.

Una realtà sconcertante

Ecco il numero che non dovrebbe far dormire ogni CTO la notte: 40,6 giorni-persona. Questo è il tempo medio impiegato da un’azienda per ripristinare le principali funzionalità durante una rebuild completa di un’applicazione cloud.

Ma c’è di peggio. La ricerca ESG ha rilevato che il 42% delle interruzioni delle moderne applicazioni cloud non può essere risolto con un semplice ripristino da backup. Ma richiede invece una ricostruzione completa da zero. Se consideriamo che le organizzazioni devono affrontare circa nove rebuild complete all’anno, è chiaro che stiamo parlando di una grave interruzione operativa.

Analizziamo con la giusta prospettiva:

  • Il 66% delle aziende necessita di almeno una settimana per ripristinare le funzionalità principali.
  • Il 78% richiede più di un mese per il ripristino completo dell’ambiente.
  • Con un costo medio giornaliero di $577 per specialista, queste rebuild costano circa $210.836 all’anno solo in termini di manodopera.

Si tratta di oltre $200.000 all’anno solo in costi di staff per il ripristino. Un importo questo che potrebbe essere investito nell’innovazione invece che nella gestione delle emergenze.

Quando il recovery azzera l’innovazione

Non si tratta solo di denaro. Non dimentichiamo la “tassa sull’innovazione”, dove ogni ora spesa a ricostruire applicazioni è un’ora non investita in trasformazione digitale, nuove funzionalità o vantaggi competitivi. Il 41% delle organizzazioni afferma che gli incidenti di rebuild interrompono lo sviluppo di iniziative strategiche.

La ricerca rivela ulteriori impatti di business che si estendono ben oltre l’IT:

  • Il 49% segnala un aumento dello stress del personale durante i periodi di rebuild.
  • Il 36% subisce una perdita diretta di entrate.
  • Il 35% affronta l’abbandono da parte dei clienti.
  • Il 34% indica una diminuzione della soddisfazione del cliente.

Quando, per settimane, si dedicano 4-5 risorse specializzate, con una capacità del 50%-75%, si verificano effetti a catena in ogni parte dell’azienda.

Perché le applicazioni cloud-native stanno rivoluzionando il ripristino tradizionale

I dati mostrano una cruda realtà. Il 49% delle organizzazioni trova backup e ripristino più semplici per le applicazioni legacy, rispetto a solo il 26% per quelle cloud-native. Questo non sorprende se si capisce cosa sta accadendo. Le applicazioni cloud-native sono costruite su architetture a microservizi. Componenti vagamente connessi che possono essere di proprietà di vari team. Utilizzare stack tecnologici differenti e seguire cicli di rilascio diversi.

Sebbene ciò abiliti l’agilità che rende attraente il cloud-native, crea un incubo quando si parla di ripristino:

  • L’82% delle organizzazioni segnala livelli problematici derivanti della configurazione.
  • Il 69% riconosce che la deriva della configurazione mina attivamente la propria resilienza digitale.
  • Il 47% di tutto il nuovo sviluppo di applicazioni è ora cloud-native. Creando un ambiente ibrido sempre più complesso da proteggere.

L’effetto moltiplicatore del multi-cloud

La complessità si aggrava se si considera che il 90% delle aziende intervistate utilizza due o più fornitori di cloud. Sebbene l’87% desideri strumenti di resilienza coerenti tra le piattaforme cloud la realtà è sconfortante. Quasi il 90% si trova ad affrontare una sostanziale variabilità nei propri attuali tool di protezione.

Questa frammentazione crea:

  • Inefficienze operative tra i team.
  • Necessità di competenze specialistiche per ogni piattaforma.
  • Potenziali lacune di resilienza tra gli ambienti.

L’imperativo della rebuild automatica

I dati rendono un risultato cristallino. L’approccio manuale alle rebuild di applicazioni cloud è insostenibile. Le aziende devono ripensare radicalmente il loro approccio. Passando dal ripristino reattivo alla resilienza proattiva.

È qui che le rebuild automatiche diventano non solo utili, ma essenziali:

  • Velocità che fa risparmiare denaro: comprimere processi di ricostruzione che durano settimane in ore o minuti non solo riduce i tempi di inattività, ma preserva le iniziative strategiche che guidano la crescita del business.
  • Coerenza su larga scala: i processi automatizzati eliminano sia la deriva della configurazione che l’errore umano, che affliggono quelle manuali, consentendo un ripristino ogni volta affidabile.
  • Liberazione delle risorse: se i team IT non gestiscono costantemente crisi di ricostruzione, possono concentrarsi sulle attività di innovazione che fanno effettivamente progredire l’azienda.

I processi di ricostruzione manuale sono un freno all’innovazione. Un drenaggio di risorse e un rischio per la continuità aziendale. Con l’accelerazione dell’adozione del cloud-native – con il 47% delle nuove applicazioni ora costruite su questi principi – le aziende che sopravvivranno e prospereranno saranno quelle che abbracceranno l’automazione come requisito fondamentale. Non come un “nice-to-have”.